Christian Boltanski (Parigi, 1944 - Parigi, 2021) comincia la sua attività artistica sul finire degli anni Cinquanta dedicandosi alla pittura figurativa, abbandonata poco dopo. Negli anni Settanta avvia una fruttuosa collaborazione con Jean Le Gac, che segna un momento rilevante nel suo percorso, caratterizzato dal ricorso ad una pluralità di medium, non solo visuali, ma anche testuali e audiovisivi. Dalla sua prima esposizione personale nel 1968, prende avvio una fortunata carriera, di partecipazione alle più importanti rassegne d’arte e di diversi riconoscimenti internazionali, tanto da essere accreditato come uno dei principali artisti francesi contemporanei. Pur con mezzi differenti, tutto il suo lavoro è contrassegnato dalla volontà di occuparsi della fenomenologia della memoria, a partire dall’esperienza personale – come egli stesso in più occasioni ricorda – dei racconti, ascoltati da bambino, dei sopravvissuti alla Shoah. Collezionare e costituire archivi è alla base di molte delle serie realizzate da Boltanski, in un momento in cui proprio il dibattito filosofico e sociologico, oltre che artistico, sugli archivi prende avvio (culmine sarà la pubblicazione dei contributi di Derrida). Non è raro, nelle sue opere, l’utilizzo di vestiti, sin da Les Habits de François C. del 1972, poi ripreso dal 1988. Boltanski accumula abiti usati, «tonnellate di abiti, perché fin dall’inizio ho pensato che la foto di un essere umano, un abito usato, il battito di un cuore, un corpo morto fossero tutti equivalenti: mostrano tutti l’assenza» (Boltanski, Eccher 2017, p. 16).

L’opera, senza titolo, presentata in mostra e già esposta in occasione di Essere è tessere a Milano, è una attestazione, in piccolo formato, delle ricerche condotte dall’artista con i tessuti. Accumulati e compressi in una teca dotata di un meccanismo a motore, gli abiti – di ogni tipologia e colore – sono illuminati dall’alto, attraverso un sistema affine a quello presente nella serie di teche (della stessa dimensione) di La vie impossible de C.B. (2001) in collezione permanente al Centre Pompidou. La composizione è datata 2010, nello stesso periodo in cui realizza Personnes per Monumenta 2010 al Grand Palais di Parigi, invaso da ammassi di vestiti, e Chance per la Biennale di Venezia del 2011, costituita da un’impalcatura industriale piena di fotografie di bambini. Sono anni in cui Boltanski lavora solo con materiali ed elementi recuperati e con lo scopo di distruggere alla fine dell’esposizione le sue grandi installazioni, con l’intento estetico di raccontare il rapporto tra l’oblio e la memoria, la vita e la morte. (r.c.)

 

Bibliografia essenziale: Bologna 1997; Grenier 2010; Milano 2015, pp. 44-45; Bologna 2017; Boltanski, Eccher 2017; Parigi 2019.