Arc en ciel

“Perdersi/ Ritrovarsi/ Metafore per salvarsi”. È un haiku scritto da Giuseppe Zilli che probabilmente l’artista pubblicherà anche su queste pagine. Appare come la sintesi estrema del suo stesso lavoro di ricerca nei territori dell’arte contemporanea, in quell’immersione costante che va avanti ormai da oltre quarant’anni, con un approccio nomadico e intenso, da esploratore. La costruzione della sua ricerca, difatti, si muove su alcuni temi e archetipi, che spesso ritornano, reinventati, nel suo lungo alfabeto visivo, rinunciando alla narrazione per farsi elemento mai netto e lineare, in un ripetersi di riferimenti, appunti visivi, intrecci, matasse di pensieri. Un esercizio quotidiano, una pratica che l’artista traccia su fogli o materie scultoree, coinvolgendo emotività e pensiero, progetto e manualità, in cui si scorgono visione e paesaggio mentale, apparentemente istintivi.
È un esploratore, difatti, Giuseppe Zilli, un viaggiatore tra mari cromatici, montagne di segni, steppe di simboli e, soprattutto, archeologo, che riesce a portare nuova luce attorno alle rovine, tra la roccia e i pigmenti, tra i sali colorati e le grandi superfici cartacee che costellano il suo immaginario in cui tutto ritorna, puntualmente, pur cambiando prospettiva e consistenza.
Lo si comprende dalle opere custodite nel suo studio, in attesa di transitare negli spazi della prossima mostra, di questa mostra: sculture, dipinti, fotografie, installazioni. Tutto contribuisce alla creazione di un percorso di presenze e assenze, di materie grezze, grevi e presenze leggere, aeree, come il sale colorato, che costituisce il punto d’avvio di un’opera che vive di slanci nella sua dimensione spaziale.
E poi c’è una città che aleggia, nella sua magica simbologia, mediante allegorie e simboli, evidenziando la sua forza evocativa con declinazioni dissimili, rincorrendosi tra i grandi fogli di carta che Giuseppe Zilli ha assemblato con la sua propensione da poetico bricoleur.
Alla pittura, l’artista è sempre stato legato, sin dai suoi esordi, nati in un clima di “ritorno all’ordine” e di citazionismo nei confronti delle Avanguardie storiche. Siamo a cavallo tra i Settanta e il decennio successivo, Zilli opera in periferia ma è curioso e si aggiorna, poi viaggia e studia, conservando anche nei decenni dopo questo suo approccio così proiettato verso la conoscenza delle istanze dell’arte contemporanea. Ma pur approfondendo differenti sollecitazioni, Zilli non si è mai fossilizzato su mode specifiche, ma ha voluto sempre intendere il percorso nell’arte in autonomia e libertà, guardando alla musicalità del rapporto tra disegno e spazio dipinto e alla genesi che attraversa i generi, muovendosi con disinvolta creatività dalla pittura alla scultura per poi giungere, in anni recenti, alla fotografia. Così come, pur mantenendo l’autonomia di un percorso, Zilli è rimasto affascinato, a mio parere, da esperienze legate all’Arte Povera, alla Transavanguardia (penso a Nicola De Maria, per esempio), in un’ottica che però di attraversamento, intrecciato alle istanze di un individuale lavoro di scavo della materia e del segno archetipico che ritroviamo anche in queste ultimissime opere.
Rimescolando i brandelli di un racconto, sintetizzandoli, in molte di queste opere guarda a Venezia, città che appartiene per antonomasia all’immaginario dell’arte di ogni tempo, per la sua storia, i suoi artisti e, naturalmente, per – da oltre un secolo – la Biennale di Venezia.
Nella serie di carte realizzate con la biro blu riverbera motivi chiari dell’iconografia veneziana, così come nelle coloratissime carte – in realtà collage di carte –, in cui tornano i suoi rossi accesi, i verdi profondi, i blu oltremare di un arcobaleno che alterna luce e buio, tenebre e bagliori di notti eterne, in cui l’arte si fa portatrice sana di un’espressione di dialogo tra l’artista e un possibile mondo. Le croci, le fiaccole, il sacro, in un senso universale, il leone di San Marco, e poi i brandelli di materia scavata, messa in dialogo con i pigmenti, i sali colorati, ed ancora lo spazio, la forma e l’architettura, in un flusso unico intermittente.
Con queste opere, attraverso una connessione tra generi e dimensioni, tecniche e materiali, Giuseppe Zilli dispiega la propria dialettica semantica, lo fa attraverso un lavoro di stratificazioni ma al contempo leggero, etereo, perché i disegni sono sospesi, le piccole carte sono appese a grucce, come se fossero abiti di un corpo del pensiero.
L’arte di Giuseppe Zilli non intende volutamente occuparsi di politica, sociale, realtà, in senso cronachistico: vuole piuttosto puntare uno sguardo su quelle tracce che l’uomo e la sua storia lasciano nei margini liminali della vita di ognuno di noi. Egli recupera determinate linee e, in quell’orbita di musicalità, spiritualità e immagine, fa transitare questi nuclei in un unico paesaggio, in cui il pubblico è invitato a muoversi per scoprire affinità e vita.